Il cardinale Pietro Parolin ha delineato nella sua omelia i tratti del “buon Pastore” indicati da Cristo e ha sottolineato l’impegno e l’apertura del cristiano verso gli altri, a testimonianza del Vangelo. Dopo aver ringraziato la comunità agostiniana “fedele custode non solo del corpo ma soprattutto dello spirito e degli insegnamenti del loro Padre”, ha concelebrato l’Eucarestia con i religiosi agostiniani e i sacerdoti diocesani in ringraziamento per la “luminosa testimonianza del Vescovo di Ippona”, “vero buon pastore” come recita il Prefazio della messa in onore di sant’Agostino, con chiaro riferimento al brano evangelico proclamato dove Gesù dice di sé stesso “Io sono il buon pastore”.
Il cardinale ha così elencato due caratteristiche proprie del pastore buono: dar la vita per le pecore e il fatto che le conosce ed è conosciuto da loro. Il cardinale, riferendosi al Vangelo, sottolinea la novità portata da Gesù rispetto alla tradizione biblica del pastore dicendo che egli è “Colui che offre la vita per le pecore”. Il pastore buono, spiega il cardinale, si distingue dal mercenario che magari non si macchia di gravi colpe ma che sicuramente è uno che non si compromette, non si coinvolge totalmente nella vita e nelle custodie delle pecore che vengono lasciate in balia dei nemici e dei pericoli. “Gesù invece si prende cura del proprio gregge, cioè dell’intera umanità” sottolinea il cardinale, e l’opera salvifica del Figlio si rende presente, in modo sacramentale, specialmente nell’Eucarestia, “sacramento in cui il buon Pastore rende mirabilmente attuale il suo amore oblativo per tutti noi”. Ecco il nostro compito, il compito di ognuno di noi: “sull’esempio di Gesù e a imitazione di Lui, anche noi siamo chiamati a spenderci generosamente per i fratelli, diventando testimoni di fede e di carità”. Il cardinale ha quindi letto un passo del testo agostiniano del Commento al Vangelo di San Giovanni (47,2): “come Cristo ha offerto la sua vita per noi, noi dobbiamo fare altrettanto: per edificare il popolo e confermare la fede dobbiamo offrire le nostre vite per i fratelli. Così a Pietro, di cui voleva fare un buon pastore, non a vantaggio di lui ma del suo corpo, il Signore disse: Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore (Gv 21, 15). E questa domanda gliela fa una, due, tre volte, fino a contristarlo. E dopo averlo interrogato quante volte ritenne opportuno, affinché la sua triplice confessione riscattasse la sua triplice negazione, e dopo avergli per tre volte affidato le sue pecore da pascere, il Signore gli disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai. E l’evangelista spiega ciò che il Signore aveva inteso dire: Disse questo per indicare con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio (Gv 21, 18-19). La consegna pasci le mie pecore, non significa dunque altro che questo: offri la tua vita per le mie pecore”.
La seconda caratteristica del pastore buono è così sintetizzata da Gesù: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Spiega il Segretario di Stato vaticano: “Questa conoscenza non è solo della mente ma anche del cuore, è la conoscenza di chi ama ed è a sua volta amato; di chi è fedele al proprio gregge e di conseguenza suscita in esso fiducia e affidamento” e poco dopo sottolinea “Oggi siamo chiamati a ravvivare nel profondo del nostro cuore la fiducia solida e inalterabile in Lui. Specialmente nel momento della prova e delle difficoltà, affidiamoci a Cristo, pastore sollecito e premuroso; egli ci conosce meglio di ogni altro e sa come aiutarci a affrontare con coraggio le tempeste della vita”. Il sostegno della grazia ci è indispensabile per adempiere “fedelmente e con efficacia” la nostra missione di diffondere il Vangelo con la testimonianza delle nostre opere buone.
Nel vangelo c’è poi il riferimento alla “porta delle pecore” come Gesù stesso si definisce. Spiega il cardinale “Il nostro è un Dio degli spazi aperti, non dei recinti chiusi; è porta attraverso la quale ci fa passare non per tenerci al chiuso dell’ovile ma per farci uscire, immettenmdoci in un appassionato itinerario apostolico per far fronte ai bisogni spirituali e morali della nostra società”. Con un tratto tipicamente agostiniano, il cardinale commenta che “Il Signore… ci apre la strada, ci precede, cammina davanti a noi per guidarci dentro la realtà della storia… Egli ci vuole sempre in cammino ad affrontare le sfide contemporanee per portare ovunque la luce della sua presenza e il lievito vivificante del Vangelo” come spiega Agostino ” entro per Cristo non nelle vostre pareti domestiche, ma nei vostri cuori: entro per Cristo” nel Commento al Vangelo di San Giovanni (45,2).
Il cardinale sottolinea che dall’incontro personale con Cristo “scaturiscono l’accettazione di valori assoluti ai quali convertirci per orientare la vita verso un umanesimo autentico; un rapporto sobrio e distaccato con i beni di questo mondo, che ci fa superare l’egoismo della civiltà consumistica e apre il cuore alla condivisione alla carità verso i più bisognosi; l’umiltà che supera la sete di potere e rendie disponibili al servizio degli altri”. Il cardinale ha poi ricordato la visita – pellegrinaggio di Benedetto XVI alla tomba di sant’Agostino nel 2007 e le sue parole allora pronunciate: “l’Amore è l’anima della vita della Chiesa e della sua azione pastorale… Solo chi vive nell’esperienza personale dell’amore del Signore è in grado di esercitare il compito di guidare e accompagnare altri nel cammino della sequela di Cristo. Alla scuola di sant’Agostino ripeto questa verità per voi come Vescovo di Roma, mentre, con gioia sempre nuova, la accolgo con voi come cristiano”.